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3 Mantova, i suoi abitanti e l'acqua - Isola delle oche

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Anche se oggi si fa fatica ad immaginarlo, l’acqua per secoli è stata parte integrante dell'identità mantovana.

Fino a pochi decenni fa si nasceva con “un piede nel Rio” il corso d’acqua che attraversa tutta la città storica o nei laghi che circondavano Mantova.

È la storia di un rapporto simbiotico che nasce, come abbiamo visto, al tempo della dominazione delle acque del Mincio che diedero una forma definitiva “all’isola” cittadina in mezzo agli allora quattro laghi.

L’elemento acqua diventò effettivamente da subito magnifico sistema di difesa dagli attacchi militari e fonte di sostentamento per tutta la popolazione per via della abbondante pescosità.

I mantovani non furono solo pescatori, barcaioli e ranari però: l’importante sistema di porti cittadini racconta anche le vicende diplomatiche e commerciali della città. Il “porto del Portazzolo” all’imboccatura del Rio, il porto dello Zeppetto” a ridosso del complesso dei mulini tra lago Superiore e di Mezzo, il porto della Torre Nuova dedicato alla corte dei Gonzaga, sebbene scomparsi, sono parte di una grande storia. Allo stesso modo piazza Virgiliana, lo si evince anche dalla sua forma, era l’attracco noto come “porto dell’Ancona” il più prestigioso prima di essere interrato e superato da “porto Catena” l’unico rimasto intatto, nonostante diversi rimaneggiamenti; proprio quest’ultimo ha rappresentato uno snodo strategico, il più importante porto fluviale collegato a Venezia che brulicava di barche, navi e burchielli carichi di merci e spostati da un’umanità di lavoratori del porto, i facchini che hanno lasciato tracce nella cultura popolare locale.

Il passaggio dei secoli e i mutamenti sociali hanno inciso nell’interruzione del rapporto di Mantova con l’acqua: al tramonto della città-fortezza, il sistema di difesa divenne obsoleto e la città poté immaginare le sue espansioni dove prima vi erano acque e fortificazioni militari. I cambiamenti dati dal progresso tecnologico e dal benessere del dopoguerra hanno reso obsolete professioni e pratiche collegate alle acque, cancellando in fretta saperi centenari. Con la stessa rapidità a partire dal Novecento è iniziata una rincorsa alla modernità che, anche con le migliori intenzioni, ha sviluppato la città con l’idea che costruire equivalesse a prosperità: negli anni Trenta, durante il fascismo emersero progetti per una Mantova senz’acqua, completamente bonificata con edifici residenziali, strade e palazzi imperiali al posto dei laghi.

Per fortuna non è andata così, tuttavia in linea con quella idea di “modernità” a farne le spese è stata la parte centrale del Rio e parte dell’ex Lago Paiolo tutti con loro case, porte di accesso, edifici religiosi e porti in un vortice edilizio ancora non terminato.

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La caratteristica principale dei laghi di Mantova, come abbiamo precedentemente introdotto, è che sono di origine artificiale. Si tratta però di una artificialità che ha oramai quasi mille anni, un tempo sufficiente per una completa rinaturalizzazione degli ambienti originari, sconvolti dalla regimazione delle acque del Mincio.

Non esiste, in Italia e probabilmente nel mondo, un esempio così antico di bacinizzazione fluviale; una sfida che ha sancito per secoli la fortuna di Mantova. Dove ora vi trovate, più di 800 anni fa è stato realizzato il primo esperimento di modificazione di un corso d’acqua liberamente fluente, un fiume, che è diventato quello che in inglese viene chiamato un “fluvial lake”- un lago fluviale.

Questa artificializzazione, all’origine ha determinato a cascata rilevanti e molteplici conseguenze ambientali, ma soprattutto conseguenze di tipo gestionale. In primis, ha imposto un attivo impegno per governare la continua formazione di sedimenti lacustri. Il fatto che un fiume smetta di correre (o sia indotto a farlo) e si trasformi in un corpo idrico quasi stagnante fa si che il 90% del materiale in sospensione (molto fine), materiale che normalmente i fiumi veicolano a valle verso le loro foci, sia trattenuto, depositato e si accumuli sul fondale.

In più, le tonnellate di vegetazione acquatica che popolano ogni anno i laghi di Mantova, ogni anno muoiono e sedimentano sui fondali determinando un accumulo ulteriore di sedimento, che spesso raggiunge i 2 o 3 centimetri. Se pensiamo che i laghi nel loro complesso quasi mai superano i 4 metri di profondità, si può facilmente immaginare come in poche decine di anni, i laghi di Mantova siano destinati a scomparire completamente (ad essere completamente colmati dai materiali veicolati dal Mincio e prodotti nei laghi).

I sistemi naturali palustri, a cui i laghi di Mantova in qualche modo possono essere riferiti, hanno infatti una vita media nell’ordine di decine di anni; un qualsivoglia ambiente palustre dopo questo periodo si interra e inizia ad essere progressivamente colonizzato dapprima da arbusti e poi da piante terrestri, come salici prima e pioppi, olmi, e querce poi. Un ecosistema palustre evolve inevitabilmente verso un ecosistema terrestre, una foresta.

I laghi di Mantova, potrebbe sembrare paradossale, nonostante la loro origine artificiale sono attualmente la più importante ed estesa zona umida interna (non salmastra) che conserviamo in Italia.

E questa zona umida, che include anche i laghi di Mantova, se non vogliamo che venga perduta nel giro di qualche decina di anni, deve essere mantenuta giovane attraverso continui interventi di manutenzione, che includano lo sfalcio della vegetazione, lo scavo dei sedimenti soffici, e la rimozione della biomassa vegetale sedimentata sul fondo.

Questi interventi, che richiedono investimenti economici importanti, si oppongono alla naturale evoluzione del sistema lacustre e delle valli associate. Sono interventi di ringiovanimento artificiale, finalizzati a mantenere la zona umida in uno stato di continuo rinnovamento.

Una zona umida è, infatti, un ecosistema che rappresenta una forma di passaggio tra un ecosistema di lago profondo e un ecosistema di foresta, che in natura ha spesso vita breve, ma che a Mantova è mantenuto artificialmente da oltre 800 anni.

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